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Venerdì 1 febbraio/I conti con i ’70

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. L’arresto in Bolivia e l’estradizione di Cesare Battisti hanno riaperto il dibattito sugli anni Settanta e gli strascichi per le persone coinvolte in vicende giudiziarie che risalgono a quel periodo.

L’intera vicenda di Battisti ha portato al paradosso il dibattito, tra strafalcioni storici, interpretazioni iperboliche degli anni Settanta e linciaggi mediatici verso chiunque abbia provato a sottolineare gli aspetti più problematici della vicenda.

Da Christian Raimo per essersi esposto con contenuti intelligenti sull’accanimento verso Battisti, a Francesco Caruso a rischio di licenziamento dall’Università della Calabria per aver criticato il dispositivo dell’ergastolo: misura per altro assente in molti ordinamenti penali e oggetto di dibattito.

A corollario di tutto ciò, una narrazione degli anni Settanta dipinti come una interminabile spirale di violenza, una sorta di olocausto della gioventù italiana. Una narrazione che esclude quindi le grandi riforme sociali e le conquiste sindacali, ottenute anche grazie ad una mobilitazione politica che non escludeva l’utilizzo della forza nè la scelta armata (parte integrante di quella stagione), ma ai quali non si può ridurre un decennio di trasformazione epocale.

Senza dover inoltre sottolineare che questa narrazione crea un miscuglio indigeribile tra lotta armata, lotte sociali e strategia della tensione.

Sullo sfondo si stagliano poi le vittime: feriti o congiunti di persone coinvolte in fatti di sangue. Una categoria scivolosa, quella di vittima, specie se è quella che va a tracciare la linea tra il bene e il male, a dare l’inequivocabile giudizio non solo un singolo evento, ma su una intera fase storica, per altro assai complessa.

Vogliamo aprire una discussione, invitando a parlare dei Settanta alla luce di una possibile critica alla narrazione che sta accompagnando l’epilogo giudiziario della vicenda di Cesare Battisti, mettendo al centro questi due punti: è possibile e sensata una critica al punto di vista delle vittime? Perché a distanza di quaranta anni il nostro Paese ha ancora bisogno di perseguitare e dare la caccia alle persone riparate all’estero? Ne parliamo con Paolo Persichetti e Ilenia Rossini (Storie in movimento).

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